SENZA UNA POLTRONA PER DUE

È la prima vigilia che io ricordi in cui non vedo “Una poltrona per due”. Se quello dello scorso anno era stato un Natale “strano”, questo (senza uno dei riti delle feste) lo è ancora di più. Al punto da non esserlo, al punto di perdere la enne maiuscola ed essere solo natale.

Queste festività mi danno la cifra della precarietà e della solitudine in cui verso, delle macerie che mi lascio dietro e della difficoltà di ri-costruire. Un periodo surreale, la lontananza forzata da casa mia che amplifica il senso di straniamento rispetto ad un’esistenza di cui non comprendo il senso, ma della quale ora, almeno, riesco a sopportare il peso.

In questa giornata in cui tutti corrono a prendere gli ultimi regali, in cui si cucina e si imbandiscono tavole, in cui si brinda con le persone del nostro cuore, io sono solo. Oggi ho dato un senso al mio tempo facendo visita ai miei malati dell’Hospice. Non sono rimasto molto, ma tanto è bastato per portare loro qualcosa. E riportarne a casa altrettanto.

Ho conosciuto la signora Carla: si stava assopendo quando sono entrato, stava su un fianco perché dolorante. È lì da pochi giorni, mi ha detto di trovarsi bene e quando mi ha chiesto se potevo andarmene aveva gli occhi lucidi, quasi si sentisse in colpa, perché avrebbe voluto rimanessi lì, ma la sua condizione di dolore le ha imposto un isolamento che non avrebbe voluto. Nei suoi occhi ho visto il desiderio di vedermi di nuovo. Spero di trovarla ancora nella stanza 12 la prossima settimana.

Ho conosciuto il signor Aldo. Anche lui da poco in quel letto, credo purtroppo non ci rimarrà molto. Ma quando gli ho chiesto di raccontarmi cosa ha fatto nella vita, la diffidenza iniziale si è sciolta e i suoi ricordi hanno riempito l’aria.

E poi Emilia. Emilia non molla, ormai è da tre settimane che la vedo e, anche se non parla, ho capito tutta la sua gioia nel sentire la mia voce per come ha aperto le braccia quando sono entrato nella sua stanza. Emilia è tracheotomizzata e comunica scrivendo su un bloc notes con la sua penna blu. Ci facciamo lunghe chiacchierate silenziose in cui ci raccontiamo vita e ricordi. Oggi mi ha accolto come se fossi davvero Babbo Natale…non lo sapevo, ma le ho portato un dono. A lei, a Carla, a Aldo. Qualche minuto di chiacchiere con uno sconosciuto che ascolta, sorride e fa domande. Qualche minuto per tornare protagonisti, per sentirsi vivi, per rivivere momenti. Per non essere soli.

Poi sono uscito da lì e, come loro, sono tornato solo anch’io. Sono andato in palestra per farmi una corsa e ovviamente non ho trovato nessuno. Tutti nelle loro abitazioni, con le loro famiglie e i parenti, mentre la mia famiglia dormiva in un cuccia in una casa che non è la nostra, aspettando il mio ritorno per uno scambio alla pari tra feste e crocchette. Una cena semplice e silenziosa e ora qui, davanti alla tastiera. A riflettere su quello che sono, su quello che ho e su quello che vorrei. Essere e avere.

C’è tanto che non va in questa vita dal potenziale così alto. Non riesco a riprenderne le redini, a ritrovare lo spirito da costruttore di vittorie che ho sempre avuto. Non riesco a sognare e a desiderare. Solo a galleggiare. Ho la mia Quindie, ho i miei malati. Per loro sono importante. Per la psicanalisi è troppo poco, ma per ora è quello che ho. Mi ci aggrappo mentre vivo questa vita che non mi piace, questo Natale senza “Una poltrona per due”.

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